in.genere 4 luglio 2024 – Marta Balzi
La gravidanza può essere un’esperienza femminista, a patto di liberarsi di falsi miti, generalizzazioni, prescrizioni e giudizi non richiesti sul corpo delle donne. È quello che fa l’economista Emily Oster nel suo libro Expecting Better, da dieci anni un bestseller negli Stati Uniti e appena pubblicato in Italia dall’editore Uppa
Il 2023 è stato un anno di festeggiamenti per l’economista Emily Oster. La sua guida alla gravidanza, Expecting Better, ha compiuto dieci anni dalla pubblicazione e ha sorpassato il milione di copie vendute, diventando una presenza stabile sul comodino di moltissime donne in gravidanza in tutto il mondo.
Da quest’anno, grazie all’editore Uppa, questo bestseller entra finalmente anche nel mercato di libri in lingua italiana con il titolo Una gravidanza migliore è possibile. Rispetto all’edizione inglese, quella italiana sceglie un sottotitolo nuovo: Come affrontare i nove mesi della gravidanza senza stress alla luce delle più recenti ricerche in materia.
Il tono è meno antagonistico di quello dell’edizione originale (Why the conventional pregnancy wisdom is wrong and what you really need to know, Perché la saggezza convenzionale sulla gravidanza è sbagliata e cosa dovreste davvero sapere), e mette in prima pagina l’obiettivo – molto epicureo! – del libro: sollevare le donne dai falsi timori grazie alla conoscenza.
In Italia come negli Stati Uniti, il libro aspira a innescare un cambiamento che va al di là della singola pubblicazione, e che “riguarda il diritto delle donne e delle persone in generale (a prescindere dal genere, dall’età e da qualsiasi altra caratteristica) a ricevere informazioni accurate e a poter decidere consapevolmente sulla propria salute. Oltre ovviamente al diritto fondamentale di poter accedere a servizi e cure di qualità, ovunque ci si trovi” spiega Virginia Vitelli, editor di Uppa.
“Come casa editrice” continua Vitelli “cerchiamo di dare il nostro contributo a un’informazione corretta, gratuita e accessibile a tutti e tutte sui temi della gravidanza, come si può vedere scorrendo la sezione dedicata a questo argomento sul nostro sito, dove vengono trattati anche temi difficili come la violenza ostetrica“.
Expecting better ha una narrazione coinvolgente. Sebbene Oster sia professoressa alla Brown University, non si siede mai in cattedra, ma si presenta come una compagna di viaggio con la quale risulta semplice immedesimarsi: ci racconta aneddoti divertenti sulle sue gravidanze e sa cogliere tante delle paure che si provano nel diventare madri.
La spinta a scrivere il libro deriva dalla sua esperienza personale – assai condivisibile – di frustrazione nei confronti della cultura della gravidanza, nella quale la razionalità e l’accessibilità di informazioni sono troppo spesso messe da parte in favore di falsi miti, generalizzazioni e giudizi non richiesti.
Rimanendo incinta, l’autrice scopre come l’enfasi sembri spostata verso una comunicazione di regole e prescrizioni, piuttosto che in un’educazione rispetto a ciò che succede al proprio corpo: “l’assistenza medica in gravidanza pareva essere […] un lungo elenco di regole” scrive Oster. “Di fatto, essere incinta mi fece sentire di nuovo una bambina, quando c’era sempre qualcuno a dirmi cosa fare. ‘Puoi bere solo due tazze di caffè al giorno’. Mi chiesi perché: quali erano gli svantaggi (conoscevo bene i vantaggi, adoro il caffè!)? Cosa dicevano le statistiche rispetto a quanto fosse rischioso? Non se ne parlava da nessuna parte”.
Un’altra peculiarità di questa guida è che è scritta nella forma di un’inchiesta. Il sodalizio stretto con le lettrici tramite la condivisione di un comune senso di insoddisfazione getta i presupposti per iniziare un viaggio in cui Oster, da esperta economista, diventa guida e compagna di viaggio fidata, attraverso una sorprendente rianalisi degli studi medici sulla gravidanza.
Economia e medicina sono discipline distinte, non serve dirlo, ma Oster riesce a farle colloquiare con destrezza e disinvoltura. Per chi non è addetta ai lavori, una delle grandi sorprese di questo libro è come gli strumenti di analisi qualitativa e quantitativa sviluppati in ambito economico possano essere felicemente applicati ad altre discipline, come la medicina, per offrire nuovi spunti di critica e giungere a conclusioni originali.
Lungi dal volersi sostituire a un medico, Oster vuole dare alle sue lettrici gli strumenti per poter conversare da pari con il proprio medico curante, fare domande intelligenti e – quando possibile – decidere e fare scelte di cui sentirsi soddisfatte.
Negli Stati Uniti, Oster è stata screditata per non avere una formazione medica. Secondo l’editore Uppa, anche nel nostro paese il libro potrebbe essere accolto con scetticismo dai e dalle professioniste del settore sanitario.
“Comprendiamo le ragioni dello scetticismo” dice Virginia Vitelli di Uppa. “La censura però non è mai la strada giusta: crediamo che il confronto tra posizioni diverse possa aiutare a mettere in luce contraddizioni, punti di forza e punti deboli delle varie posizioni. Inoltre, anche discutere di come utilizzare i dati e se sia legittimo farlo come lo fa un’economista può aprire un dibattito interessante”.
Del resto, continua l’editor, “non tutti sanno come funziona il mondo della ricerca, né quali ricerche siano ritenute affidabili e valide dalla comunità scientifica: leggendo questo libro, lettori e lettrici possono farsene un’idea più chiara”.
Il libro di Oster è diviso in cinque sezioni: concepimento, primo trimestre, secondo trimestre, terzo trimestre, travaglio e parto.
Ogni sezione ha capitoli che si concentrano su aspetti relativi al periodo in questione, fra cui periodo migliore per concepire, tipologie e rischi di test prenatali, sicurezza dei farmaci, scelta fra epidurale e parto naturale.
Dopo aver analizzato i dati e studiato pro e contro di ogni scenario, Oster offre alle lettrici anche un utilissimo bilancio conclusivo. Un esempio è quello sull’allenamento e il riposo in gravidanza.
Figura 1. Il bilancio su allenamento e riposo in gravidanza
Fonte: E. Oster, Una gravidanza migliore è possibile, Uppa, 2024, p. 213
Per capire più nello specifico come lavora Oster, può essere utile prendere ad esempio una delle raccomandazioni più note rispetto alla gravidanza, quella di non bere alcolici.
Bere smodatamente costituisce un rischio per la salute, a maggior ragione quando si è in stato di attesa. L’economista cita in proposito uno studio pubblicato sulla rivista Pediatrics, che rivela come le donne che bevono molto (cioè più di cinque bicchieri alla volta) durante la gravidanza siano esposte a una maggiore probabilità di avere figli o figlie con problemi cognitivi.
Questo, sostiene l’autrice, non implica che bere con moderazione sia altrettanto dannoso per lo sviluppo cognitivo del feto. Al contrario. Fra gli studi migliori che sono stati pubblicati in merito, Oster ne cita due che indicano come un consumo leggero di alcolici durante la gravidanza non abbia nessun impatto negativo sullo sviluppo comportamentale e sul quoziente intellettivo del bambino o della bambina.
Per quanto sconcertante, questi studi hanno rilevato che le donne che bevono alcolici moderatamente durante la gravidanza – mezzo o un bicchiere al giorno – abbiano figli e figlie con un quoziente intellettivo più elevato. Non per un rapporto di causalità, ma probabilmente perché chi beve poco e con regolarità ha un livello di istruzione più alto rispetto a chi beve troppo o si astiene del tutto.
Dopo aver analizzato a fondo i dati, Oster conclude che “non vi siano prove credibili che il consumo occasionale di un bicchiere nel primo trimestre, e fino a un bicchiere al giorno nei trimestri successivi, influisca sulla gravidanza o sullo sviluppo del bambino”.
Dunque, perché raccomandare un’astensione totale? Lo fanno molti organi statali nella società occidentali. Oster indica ovviamente gli Stati Uniti, ma accade lo stesso anche in Italia. Sul sito del Ministero della Salute, per esempio, si raccomanda di “evitare completamente l’assunzione di bevande alcoliche” e si consiglia di evitare l’alcol anche se si cerca una gravidanza.
Il primo motivo, secondo Oster, è che viene dato troppo credito a studi fuorvianti. Ne cita uno, per esempio, in cui fra i soggetti coinvolti nella ricerca c’è una percentuale molto significativa di donne che, oltre a consumare alcolici, in gravidanza hanno fatto anche uso di cocaina.
L’altro motivo è la mancanza di fiducia verso la paziente. Acconsentire a un uso moderato di alcol e dare un’indicazione più complessa rispetto alla totale astinenza potrebbe portare a fraintendimenti e generare lassismo. Si preferisce dunque infantilizzare le pazienti e privarle della possibilità di scegliere ciò che sia meglio per se stesse.
Inutile dire che questo secondo motivo ha due risvolti quantomeno problematici. Il primo, ovviamente, è che si finisce per esercitare controllo sul corpo della donna attraverso una sottrazione di informazioni. Il secondo è che si mettono sullo stesso piano prescrizioni differenti rischiando di banalizzarle o enfatizzarle.
Che senso ha proporre alle donne una lista lunghissima di raccomandazioni che include, fra le altre cose, non bere alcolici, non fare uso di droghe, non fumare, non mangiare formaggi a latte crudo, non fare la tinta, non cambiare la lettiera del gatto?
Ovviamente c’è un’enorme differenza fra mangiare una fetta di gorgonzola e consumare cocaina, e le implicazioni di queste azioni dovrebbero essere spiegate per evitare di andare nel panico quando si assaggia una fetta di insaccato a Natale, o pensare che sia tutto sommato accettabile fumare una sigaretta ogni tanto in gravidanza (spoiler: non lo è).
L’esempio del consumo di alcolici in gravidanza mostra bene come la disinformazione possa diventare una trappola. Se le raccomandazioni ufficiali prescrivono totale astinenza, è anche vero che spesso la saggezza tramandata da madre in figlia suggerisce diversamente. Le nostre nonne e madri sorridono delle diete imposte alle gestanti. In un tempo in cui mancava quasi tutto, il vino, anche allungato con acqua, dava corpo al pasto e sollievo emotivo.
Similmente, come dice Oster, le raccomandazioni di astinenza vengono affievolite informalmente anche dai ginecologi e dalle ginecologhe, che acconsentono a un consumo moderato di bevande alcoliche.
La zona grigia che si crea fra prescrizione ufficiale e non ufficiale, saperi e pregiudizi popolari lascia le gestanti in una condizione di insicurezza, nella quale diventano preda del senso di colpa e oggetto di sguardi giudicanti.
Abbandonate nel limbo dell’ignoranza, l’unica risposta possibile per sentirsi buone madri è la rinuncia a priori. Rinuncia ai piaceri – anche se innocui – e rinuncia a mettere in dubbio qualsiasi raccomandazione per paura di non sembrare disposte a sacrificarsi.
Pochi mesi fa è stato pubblicato dalla casa editrice nottetempo il libro di Giulia Siviero Fare femminismo, che traccia l’evoluzione del movimento femminista attraverso le sue battaglie più significative.
Il secondo capitolo è dedicato alla lotta delle militanti per riappropriarsi del proprio corpo. Racconta che fra il Seicento e il Settecento avvengono due fatti di rilievo: da una parte la caccia alle streghe, che marginalizza levatrici e guaritrici che da sempre istruivano e condividevano saperi su concepimento, aborto, gestazione e parto. Dall’altra, la nascita della medicina moderna, a lungo praticabile unicamente dagli uomini, nella quale la gravidanza diventa una condizione clinica da osservare, studiare e analizzare.
Una disciplina in cui il sapere medico diventa più rilevante di ciò che la donna conosce di se stessa: “svuotato di sapere proprio [il corpo della donna] si trasforma in qualcosa che altri possono conoscere meglio di lei e un territorio da controllare, presidiare, disciplinare” scrive Siviero.
Le donne per lungo tempo non hanno nominato il proprio corpo se non con pseudonimi: “laggiù” per indicare la vagina, “le marchese” per nominare le mestruazioni, e hanno vissuto la loro biologia come un mistero e un peccato. Dagli anni Settanta, come racconta Siviero, i movimenti femministi hanno lottato per risanare la frattura fra la mente e il corpo delle donne.
Nonostante Oster sia un’economista appassionata di dati e la parola “femminismo” non venga sbandierata nel suo libro, è impossibile non collocare il suo lavoro nel solco tracciato dai movimenti di emancipazione femminile.
Difficile non leggere fra le righe lo spirito e l’ideale che ha spinto le prime femministe a rimaneggiare lo speculum e metterlo nelle mani delle donne per osservare i propri genitali. L’obiettivo comune è nel desiderio di dare alle donne le conoscenze necessarie per non cedere ad altri il controllo sul proprio corpo.
Quindi leggiamo, interroghiamoci e prendiamo decisioni di cui sentirci soddisfatte. D’altronde ne va, come dice Oster, della nostra felicità.
Riferimenti
- Oster,Expecting Better: Why the Conventional Pregnancy Wisdom is Wrong – and What You Really Need to Know, The Penguin Press, New York, 2013.
- Oster,Una gravidanza migliore è possibile: come affrontare i nove mesi della gravidanza senza stress alla luce delle più recenti ricerche in materia, traduzione di Marianna Jensen, Uppa, Roma, 2024.
- Siviero,Fare femminismo, nottetempo, Milano, 2024.