IL «DIVIETO UNIVERSALE» CONTRO LA GRAVIDANZA PER ALTRI (GPA) PASSERÀ ALLA STORIA COME L’EMBLEMA DEI PREGIUDIZI RESIDUALI DELLA «SACRALITÀ DELLA VITA», SIMILI A QUELLI CHE VIETAVANO ALLE DONNE DI FARE IL GIUDICE.
LA GPA È ETICAMENTE BUONA PERCHÈ CONSENTE
LA NASCITA DI BAMBINI VOLUTI E AMATI CHE ALTRIMENTI NON NASCEREBBERO:
VA REGOLATA CON CURA SENZA COARTARE LA LIBERTÀ DELLE DONNE.
Facendo approvare il «divieto universale» di gravidanza per altri (GPA), Giorgia la condottiera ha voluto cominciare a imprimere una “svolta etica” alla nazione, per riportare le donne italiane ai costumi di un tempo rispettosi della maternità naturale e refrattari alle diavolerie del mondo moderno. Il «divieto universale», però, produce danni, molti danni.
Il primo è che impedisce la nascita di bambini che potrebbero venire al mondo grazie alla GPA e che, senza di essa, non nascerebbero. Questi nuovi nati, una volta nati, sono contenti di essere venuti al mondo voluti, amati e in condizioni più che accettabili, grazie alla GPA. Bastano eventuali generiche “riserve” sulle modalità di loro venuta al mondo per impedirne la nascita? Ha senso dire che sarebbe meglio non nascessero affatto invece che nascere contenti di essere nati grazie alla GPA? Poiché impedire un bene fattibile equivale a fare un male, il divieto di GPA crea un vero e proprio danno.
Si ribatte che il «divieto universale» è tuttavia positivo perché tutela le donne da una “mercificazione” disumanizzante del corpo, e che grazie al nuovo divieto la gravidanza viene sottratta a uno “sfruttamento” pressoché inevitabile. Se con “merce” si intende un’attività o “una cosa che mediante le sue qualità soddisfa bisogni umani di un qualsiasi tipo” (K. Marx, Il capitale) è vero che oggi ci sono più possibilità di far uso anche del corpo o di sue parti per soddisfare esigenze umane (vecchie e nuove), ma questa “mercificazione” avviene perché i progressi medici aumentano il nostro controllo sul mondo vivente, inclusa la riproduzione. Questo controllo ha portato molti benefici: ha aumentato l’attesa di vita e consentito il controllo della riproduzione umana. Quest’ultima opportunità con la contraccezione ha consentito di soddisfare il bisogno umano di sessualità senza figli; e con la fecondazione assistita di avere figli svincolati dalla sessualità. La GPA si colloca in questo quadro etico generale, in cui il controllo acquisito consente ora di sostituire anche il processo biologico della gravidanza.
C’è da capire se il parlare di “mercificazione” disumanizzante della GPA sia solo un modo per tornare a escludere (o limitare) a priori le nuove tecniche riproduttive in sé, o se ci siano critiche più specifiche circa la GPA. Nel primo caso l’obiezione della “mercificazione” è spuntata e invalida: è già stata usata contro il birth-control e contro la fecondazione assistita, e ancora oggi resta a sostegno di alcuni vincoli (di età, di convivenza, etc.) imposti dalla Legge 40/04. Il birth-control è oggi uno dei “diritti riproduttivi”, e dopo oltre 10 milioni di nati con fecondazione assistita sappiamo che il controllo della riproduzione umana è moralmente buono.
Se, invece, la tesi della “mercificazione” è rivolta alla GPA in particolare, vanno viste le ragioni specifiche, che paiono essere due: la tutela della “dignità” della donna e del nato. Circa quella del nato la ministra Roccella (Corriere della sera, 18/10/2024, p. 15) ha evidenziato che mai nessuno ha saputo dirLe quale sia la differenza tra la “compravendita di un bambino” (dappertutto vietata) e la “maternità surrogata” (che invece si vuole permessa). Gliela diamo subito: sta nel fatto che altro è un bambino (nato e con diritti), altro è il processo biologico che porta al bambino: il primo ha (come ciascuno di noi) tutela suprema, mentre il processo biologico può essere controllato e sostenuto, anche perché i servizi (medici) a sostegno del processo possono essere di beneficio al nato. A meno di voler sacralizzare la biologia riproduttiva, non è detto che la natura faccia sempre il meglio, per cui non è da escludere che a volte la GPA sia a vantaggio del bambino.
La valutazione di queste situazioni richiede prudenza, ma la si può fare e si può giungere a una soluzione rispettosa della dignità delle donne, le quali non hanno bisogno di un «divieto universale» di GPA che le tenga “sotto tutela” come se da sole non fossero capaci di farlo. Le donne sanno ben discernere che fare circa la riproduzione, e sanno capire se e quando l’aiuto prestato è un’opportunità per garantire una nascita più consapevole e responsabile. Invece di procedere a colpi di «divieto universale» criminalizzante, meglio sarebbe chiedere alle interessate di valutare al riguardo, lasciando decidere a loro.
Può darsi che la GPA comporti a volte “sfruttamento” inteso come inadeguato o insufficiente riscontro per il servizio reso. Quello del possibile “sfruttamento” è però problema diverso da quello della liceità o della bontà del servizio stesso: problema importante, che c’è anche per altri servizi. “Sfruttato” è anche chi svolge altri servizi, dai più semplici, come la raccolta di pomodori, ai più delicati come l’assistenza sanitaria (ai neonati e non), l’insegnamento, la sicurezza del lavoro etc. Sorprende molto che il Parlamento si preoccupi solo del possibile sfruttamento della GPA, e faccia poco o nulla faccia per garantire la sicurezza del lavoro o adeguati compensi in tanti altri settori. Questa disparità segnala che quello dello “sfruttamento” è solo una bandierina usata per riproporre la (presunta) malvagità intrinseca dell’intera fecondazione assistita e del controllo riproduttivo. In breve: la tutela della dignità delle donne non c’entra nulla, e la GPA viene usata per rimettere in pista l’arcaico residuo culturale dell’inviolabilità della riproduzione umana.
Sul piano etico e bioetico il «divieto universale» è irrazionale e immorale, e l’essere diventato legge dello Stato è un’aggravante, perché così facendo si è gettato un pesante stigma su chi già è nato grazie a tale pratica, quasi che tali nascite abbiano comportato qualcosa di gravemente sbagliato o di efferato. Il «divieto universale» infatti riguarda delitti esecrabili e abominevoli come il genocidio, lo sterminio di innocenti e simili: reati che, immediatamente, suscitano condanna netta, dura e universale. È quindi un problema che al Senato lo scorso 16 ottobre la legge sia stata approvata con 84 sì e 58 no, ben lontana dall’unanimità o dalla quasi unanimità che ci si sarebbe aspettati. Anche su questo c’è da riflettere: l’approvazione di un «divieto universale» avrebbe dovuto trovare tutti d’accordo, e invece ha ricevuto solo il 59.15% dei voti, una maggioranza tanto modesta e risicata da risultare una vera e propria sconfitta. Ciò segnala che la “svolta etica” proposta da Giorgia la condottiera è partita col piede sbagliato e non ha avuto il successo sperato. Non è peregrino pensare che la nuova legge non sarà applicata e resterà l’emblema dei pregiudizi irrazionali ancora diffusi circa la riproduzione umana.
Maurizio Mori Presidente Consulta di Bioetica Onlus