Ma la fobia di questa destra per il “gender” ha prevalso ancora una volta e così il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Luca Ciriani, durante il question time alla Camera, ha spiegato che quei 500mila euro stanziati dalla Legge di Bilancio per promuovere corsi di educazione sessuale e affettiva saranno utilizzati per formare gli insegnanti delle scuole medie e superiori sui temi della prevenzione dell’infertilità.

Il termine è inglese – la sua traduzione è “genere”. Per Treccani è un “termine introdotto nel contesto delle scienze umane e sociali per designare i molti e complessi modi in cui le differenze tra i sessi acquistano significato e diventano fattori strutturali nell’organizzazione della vita sociale”.

Sta quindi ad indicare l’appartenenza di un individuo ad un sesso o ad un altro non tanto sulla base delle differenze di natura biologica, quanto su componenti di natura sociale, culturale e comportamentale, affermando che ogni individuo ha una propria identità di genere che può anche essere differente dal sesso perché è definita dalla percezione che ogni individuo ha di se stesso come maschio o femmina (identità di genere) e il sistema socialmente costruito intorno a quelle identità (ruolo di genere). Ci può quindi non essere corrispondenza tra il corpo in cui si nasce e il modo in cui ci si percepisce e quello in cui ci percepiscono gli altri.

Negli ambienti cattolici e dei movimenti antiabortisti e, di conseguenza, delle forze politiche che li sostengono, dietro questa teoria o ideologia del gender ci sarebbe la volontà di distruggere la famiglia tradizionale e di condizionare i ragazzi e le ragazze attraverso i corsi di educazione all’affettività e alla salute sessuale.

Si parte da lontano: è dal 2013 che un centinaio di organizzazioni contro i diritti umani, contro i diritti LGBTQ+ provenienti da oltre 30 paesi europei hanno congiuntamente attivato una strategia, Agenda Europa, che include anche l’opposizione alla cosiddetta teoria gender, prima sottotraccia, poi man mano sempre più apertamente. In Italia al Congresso mondiale delle famiglie tenutosi a Verona nel 2019 i fondamentalisti sono venuti allo scoperto, forti del fatto che per la prima volta la conferenza è stata ospitata da un paese fondatore dell’Unione Europea con il patrocinio di una consistente ala dell’allora governo gialloverde.

In quel consesso la loro strategia per salvaguardare i valori familiari di stampo conservatore e fare opposizione all’aborto, al divorzio e all’omosessualità, e appunto alla teoria gender, nel corso degli anni ha assunto un valore sempre più politico.

Negli ultimi anni, con l’avvento al governo della destra, l’assalto di questi movimenti antiabortisti contro i diritti di scelta si è fatto sempre più aggressivo e senza pudore.
A settembre di quest’anno la maggioranza ha approvato in Commissione Cultura alla Camera, la risoluzione più volte annunciata dalla Lega contro la “propaganda gender nelle scuole” al grido di “Noi difendiamo i bambini”. A dare manforte a marzo era stato anche il Papa che parlando al Convegno internazionale “Uomo-Donna immagine di Dio” aveva definito “l’ideologia gender” come “il pericolo più brutto che annulla le differenze e rende tutto uguale”.

In che cosa poi esattamente consista questa risoluzione ancora non si è ben capito: sappiamo sicuramente che è il primo documento ufficiale del Parlamento italiano che fa uso del termine “ideologia gender” che peraltro non trova riscontro in alcuna teoria scientifica o accademica e che vuole, di fatto, limitare ogni forma di educazione e discussione sulle questioni di genere e sugli stereotipi strumentalizzando l’argomento e ostacolando progetti che sono alla base del contrasto alla violenza contro le donne.

Il ministro ha peraltro ribadito che le decisioni del governo sono conformi alle deliberazioni parlamentari, come se parlare di educazione all’affettività e alla sessualità fosse uguale che parlare di come prevenire l’infertilità! Insomma come dice Elisa Ercoli di Differenza donna, che da anni aiuta le donne vittime di violenza “Non hanno idea. Questa situazione è la dimostrazione di quanto anche i ministri e le ministre abbiano bisogno di formazione e di spazi di riflessione su questi temi”.

Ancora una volta si è persa un’occasione per realizzare in concreto quello che ad ogni 25 novembre sentiamo ripetere nei convegni, nelle cerimonie di celebrazione della “Giornata internazionale contro la violenza sulle donne” e cioè che il primo pilastro, previsto anche dalla convenzione di Istanbul, una delle famose 3 P è proprio la prevenzione che si sostanzia con l’educazione all’affettività e alla sessualità e che certo niente ha a che fare con la fertilità.

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