Il Fatto Quotidiano Blog – 28 aprile 2023 – Laura Onofri
Ultimamente il tema della denatalità è tornato prepotentemente in dibatti e articoli, ma anche nelle esternazioni dei politici.
Nei giorni scorsi Giorgia Meloni ha affermato che il governo proporrà incentivi per favorire la natalità, il suo ministro, nonché cognato, Francesco Lollobrigida è addirittura giunto ad additare la “sostituzione etnica” come emergenza italiana, unendo il tema del decremento delle nascite a quello dell’immigrazione.
Questa fissa della purezza della razza di lontana e triste memoria è un chiodo fisso di questa destra al governo. Già nel 2017 Giorgia Meloni in un comizio affermò che l’immigrazione “è un’invasione pianificata e voluta. Si chiama sostituzione etnica” aggiungendo “e noi non la consentiremo”.
Basterebbe che questi politici ascoltassero di più le donne che hanno chiare le ragioni della denatalità.
Basterebbe leggere la ricerca che l’Università Bocconi ha da poco concluso, per analizzare e approfondire le ragioni che le donne (sono state intervistate donne di cultura medio alta per il 55% entro i 34 anni e per il restante 45 % entro i 50) hanno indicato essere gli ostacoli per i quali si fa sempre più fatica a pianificare la nascita di un figlio o una figlia.
Dalla ricerca appare chiaro che quello che preoccupa maggiormente queste donne è non avere certezze rispetto al lavoro.
E’ questo il primo grande nodo ancora irrisolto: per le donne la maternità rimane un ostacolo enorme per la realizzazione delle proprie aspirazioni in ambito professionale. Quante donne raccontano che al ritorno dal lavoro, dopo la maternità, non hanno più “trovato la loro scrivania”, sono state demansionate, non hanno ricevuto aggiornamenti sui percorsi formativi dell’azienda, o se lavoratrici autonome, hanno dovuto fare le corse ad ostacoli per conciliare famiglia e lavoro.
Il vulnus dei congedi per la genitorialità, che di fatto costituiscono il maggior ostacolo alla carriera professionale femminile, non sarà sciolto sino a che il congedo di paternità obbligatorio non diventi paritario a quello di maternità come succede in tanti Paesi europei.
Grazie anche alle politiche sull’occupazione dei governi precedenti il lavoro, specialmente per i giovani e le donne, rimane precario e sottopagato; la povertà in Italia, secondo i dati Istat è al massimo storico di quella assoluta e riguarda 5, 6 milioni di persone; viene ridotto, da questo governo, il reddito di cittadinanza del 40%, paracadute che molte famiglie avevano, nel caso di perdita dell’occupazione. La carenza di welfare, la bassa percentuale di asili nido (e il loro costo non indifferente) e di scuole a tempo pieno o con orario flessibile sono , come sappiamo ormai bene, le altre difficoltà che incontrano le famiglie.
Con queste condizioni e questi ostacoli come possiamo credere che si possa serenamente pensare all’idea di genitorialità? Specialmente quando si tratta di pensare al secondo o al terzo figlio? Bisogna avere una grande dose di ottimismo per farlo.
Ma è tutto l’impianto della nostra società che preoccupa chi decide di riprodursi. Sapere che il nostro Paese non cresce, che registra una crescita del Pil inferiore di circa un punto percentuale alla media europea ogni anno, che i grandi ostacoli strutturali e sociali in Italia non sono stati rimossi e anzi sono acuiti dopo due anni di pandemia induce i giovani a cercare all’estero un futuro e a procrastinare sempre di più la scelta di diventare genitori.
Per non parlare poi della contrapposizione espressa da questa destra sulla genitorialità: da una parte si stigmatizzano quelle coppie rigorosamente eterosessuali che non vogliono avere figli perché hanno altri interessi e visioni del futuro, dall’altra si pongono barriere e previsioni legislative che ostacolano le coppie etero e omosessuali che li desiderano e non possono concepirli se non utilizzando tecniche riproduttive che la scienza offre.
Il problema demografico del nostro Paese è principalmente un problema di leggi e provvedimenti che aiutino concretamente e in modo strutturale le coppie, ma è anche un problema culturale che la retorica sulla maternità e sulla “famiglia naturale” non risolve, ma anzi aggrava.