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SERVONO DATI PER CONTARE

in.Genere 22/03/2023 – Rossella Forlè

Donne, madri sole, crisi abitativa: serve trasparenza per contrastare la povertà, la campagna di Period Think Thank parte da Bologna per comprendere l’impatto che hanno le politiche e gli investimenti sulla riduzione del gap di genere

Oggi in Italia sono generalmente le donne e le madri sole le persone a maggiore rischio di povertà. I dati del rapporto annuale Istat, pubblicato a luglio 2022 rivela disuguaglianze di genere drammatiche. Dell’11,7% delle famiglie monogenitoriali in povertà assoluta, l’80,9% è composto da madri sole.

 

Quante di queste donne hanno accesso a case popolari? E quante donne che fuoriescono da contesti di violenza sono inserite in alloggi popolari o stanno ancora aspettando? Sono solo alcune delle domande che, Giulia Sudano, Presidente di Period, think-thank femminista intersezionale che si occupa di advocacy, policy e dati, ha posto al Comune di Bologna, chiedendo di fornire dati aperti disaggregati per genere, per poter contrastare il disagio abitativo delle donne, attraverso il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr).

La richiesta di Period è solo la prima di una campagna lanciata in occasione dell’8 marzo, e intitolata #datipercontare che ha l’obiettivo di comprendere l’impatto che hanno le politiche e gli investimenti economici, sulla riduzione del gap di genere.

Il Pnrr è la grande sfida che l’Italia deve affrontare per garantirsi un futuro di stabilità e di armonia sociale. Era quindi naturale attendersi misure che nel medio periodo affrontassero la crisi abitativa che è uno dei fattori di blocco e di profonda disuguaglianza di genere nel nostro paese.  Il testo del Pnrr infatti afferma che – la carenza abitativa si riflette differentemente su uomini e donne per via del differente ruolo familiare loro attribuito e del fatto che la maggior parte delle famiglie monoparentali siano affidate a donne – a fronte di questa dichiarazione non sono però presenti dati di contesto e obiettivi numerici da raggiungere.

Secondo l’Istat in Italia le famiglie dove sono presenti minori e in condizione di povertà assoluta è pari al 28,2% se la famiglia abita in un appartamento in affitto, contro il 6,4% di quelle che posseggono un’abitazione di proprietà e il 13,1% delle famiglie in condizioni di usufrutto o in uso gratuito, ma i dati disponibili non permettono di creare una correlazione tra la condizione di povertà individuale per genere e la tipologia dell’abitazione in cui si vive.

Esiste infatti una contraddittorietà delle misure messe a disposizione dai sistemi di protezione sociale. Parliamo qui del contributo del sistema di welfare nella definizione e costruzione della dipendenza economica femminile e, al contempo, dell’adeguatezza delle risposte istituzionali ai rischi di povertà per le donne, intesa come il grado di riconoscimento dei bisogni di modelli familiari non tradizionali, in un contesto toccato da intense trasformazioni.

Gli interventi compensativi in Italia, sono ancora strutturati su un modello tradizionale di famiglia, in cui è data per scontata la dipendenza economica della donna dal marito e la responsabilità femminile del lavoro di cura. Paradossalmente, la dipendenza economica delle donne è stata assunta negli anni come una sorta di protezione dalla povertà: le donne non necessitano di una propria fonte di reddito, perché gli uomini con cui vivono provvedono finanziariamente alle loro necessità.

L’idea di uno stipendio familiare percepito dal ‘capofamiglia’ maschio per il proprio mantenimento e quello della moglie e dei figli dipendenti ha dunque contribuito indirettamente alla femminilizzazione della povertà: tale logica è più che mai inadatta a cogliere le necessità di tutte quelle donne che vivono da sole (single, madri sole, vedove, anziane) e che, conseguentemente, non hanno accesso alla fonte di reddito di un partner ‘maschile’. Tale inadeguatezza è sempre più macroscopica perché si inserisce in un contesto storico caratterizzato da intense trasformazioni socioeconomiche che hanno stimolato il proliferare di nuovi bisogni e, al contempo, messo in seria difficoltà i sistemi di sostegno sociale originariamente strutturati sulla base di corsi di vita differenti, di una diversa organizzazione della vita familiare e di una marcata divisione di ruoli tra genere femminile e maschile.

Come descrive bene uno studio del 2021, Le diseguaglianze di genere in Italia e il potenziale contributo del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza per ridurle, a cura del Dipartimento del Tesoro del Ministero dell’economia e delle finanze, questi cambiamenti hanno portato alla luce una serie di rischi sociali largamente sconosciuti in passato e hanno profondamente influenzato la loro distribuzione lungo il corso di vita delle donne. Sono state proprio le donne negli anni ad essere maggiormente investite dalla forte precarizzazione e instabilità del lavoro.

In passato, spiega lo studio, la povertà femminile era per lo più nascosta all’interno delle famiglie che, al contempo, sancivano la dipendenza delle donne. Ora è più esplicita e colpisce non solo le donne in una situazione di dipendenza economica dal marito o dal partner che si ritrovano sole, a seguito di una morte o separazione ma anche le donne inserite nel mercato del lavoro, a causa della difficile conciliazione tra impegni familiari e lavorativi.

Tutto ciò permette di contestualizzare la povertà femminile all’intersezione tra storie individuali, storia collettiva e mutamento sociale. La ricerca rivela inoltre come le statistiche di genere giochino un ruolo essenziale nel promuovere l’equità, perché costituiscono la base imprescindibile per svelare la natura sessuata della realtà che ci circonda e sviluppare così politiche in grado di affrontare le cause del problema e offrire soluzioni appropriate.

Le donne sono state e sono ancora invisibili nelle statistiche. Tale invisibilità si esprime con la carenza di informazioni e dati sulla condizione femminile; un inadeguato sfruttamento dei dati esistenti e l’assenza di un approccio volto a evidenziare la differenza di genere fin dalla fase di progettazione delle rilevazioni statistiche.

È solo attraverso la disponibilità di dati aperti disaggregati per genere che potremo valutare l’efficacia degli interventi relativi all’abitare sulla condizione economica e di vita delle donne.

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