Corriere della sera – La 27 ora – 15 marzo – Elisa Messina
La segretaria del Partito democratico Elly Schlein ha parlato, oggi, durante il question time alla Camera, dell’esigenza di introdurre subito, in Italia, per i genitori lavoratori «il congedo paritario e non trasferibile di almeno tre mesi» come una delle risposte per contrastare la crisi della natalità in Italia, «favorire l’occupazione femminile e redistribuire il carico di cura dentro le famiglie». Che cosa si intende precisamente e come cambierebbe rispetto a quello attuale?
Innanzitutto distinguiamo tra congedo obbligatorio e congedo parentale. Il secondo è facoltativo e prevede un periodo di astensione dal lavoro di sei mesi di cui possono usufruire entrambi i genitori (lo spieghiamo più avanti). Ma la proposta di cui ha parlato in Aula la segretaria Pd è riferita invece al primo periodo di astensione dal lavoro, ovvero al congedo obbligatorio, le cui regole, nella legge italiana, non sono paritarie come in altri Paesi europei.
Il congedo obbligatorio, infatti, è ancora, sostanzialmente il congedo di maternità: prevede, infatti, solo per le madri, un periodo obbligatorio di astensione dal lavoro di 5 mesi da modulare prima e dopo il parto (dal 1° gennaio 2019 vi è la possibilità di astenersi dal lavoro esclusivamente dopo l’evento del parto, previa certificato medico che questa scelta non comprometta la salute della gestante e del nascituro).
Per i padri, invece, il periodo obbligatorio è di «soli» 10 giorni (erano 7 fino all’agosto scorso) anche non continuativi, da prendere dai due mesi precedenti la data presunta del parto ed entro i 5 mesi successivi, anche in caso di morte perinatale.
Per tutta la durata del congedo di maternità e di paternità si percepisce un’indennità economica da parte dell’Inps, ma anticipata dal datore di lavoro, pari all’80% dell’ultima retribuzione.
La proposta di Schlein e del Pd, come lei stessa aveva annunciato durante la prima assemblea del partito, è quella di «un congedo paritario pienamente retribuito di tre mesi almeno per entrambi i coniugi e non trasferibile». Si tratterebbe, quindi, di estendere a tre mesi gli attuali 10 giorni di astensione dal lavoro attualmente a disposizione dei padri. E di rendere questo diritto «non trasferibile» tra i due genitori. Una soluzione, dunque, paritaria, che somiglia a quella di recente adottata in Spagna dove, dal gennaio 2021, il congedo è di 16 settimane (circa 4 mesi) sia per i padri che per le madri ed è pagato al 100%. Ma il periodo obbligatorio è di 6 settimane che devono essere ininterrotte. Non si parla più di congedo di maternità o di paternità (sia in quello facoltativo che in quello obbligatorio), quindi, ma di congedo paritario.
Diverso il quadro per i congedi parentali. Oggi la legge in Italia consente a ciascun genitore un congedo parentale, ovvero un periodo di astensione dal lavoro facoltativo, per un periodo frazionato o continuativo di sei mesi. Complessivamente padre e madre non possono superare il massimo di 10 mesi e la possibilità di usufruirne è valida fino ai 12 anni del figlio. Soltanto ai padri è data la possibilità di fruire di un ulteriore permesso di un mese arrivando a 7 mesi (in questo modo il periodo complessivo arriva a 11 mesi): una decisione recente, presa per incentivare i padri lavoratori ad occuparsi dei figli. Dato che nel nostro Paese è ancora molto forte lo squilibrio di genere quando si tratta della cura familiare ed è decisamente più frequente che siano le madri a mettere in pausa il lavoro per stare con i figli. Solo un padre su 5 fa richiesta di congedo parentale (poco più del 20% delle richieste), numeri molto lontani da quello, per esempio, della Svezia, dove il 40% di chi fa richiesta di congedo è uomo.
Lo squilibrio di genere nella richiesta dei congedi parentali ha visto un aumento nel 2020, durante l’emergenza Covid (22%). Ed il trend è comunque in leggera e costante salita.